giovedì 11 maggio 2017

COMMENTO DE "I BUDDENBROOK" DI THOMAS MANN

Quando ci si ritrova in mano il romanzo I Buddenbrook di Mann, si sente il peso del libro e si teme di aver pescato un mattone illeggibile e noioso di cui si maledirà l'acquisto. Nella nostra società frenetica, che ci costringe a continue corse e conti alla rovescia, pensare di doversi dedicare alla lettura di settecento pagine fa tremare le ginocchia. Scommetto anche che molti lo comprano solo per potersi vantare di aver letto un romanzo di settecento pagine e potersi atteggiare ad uomini di cultura. Io stesso, comprando il libro, ho temuto di aver fatto un errore e di aver speso soldi per un romanzo che non avrei nemmeno terminato.
Dopo aver letto I Buddenbrook posso dire che si tratta di un romanzo che ci insegna a non giudicare dalle apparenze. La mole del libro può spaventare, ma la scrittura di Mann è straordinariamente scorrevole e le pagine volano via che è un piacere. Si tratta di una saga familiare, quindi una trama priva di eventi che possano soddisfare il concetto di suspense coltivato in noi dai thriller, eppure lascia nel lettore una gran voglia di perdersi tra le sue pagine e si potrebbe passare una giornata intera senza interrompere mai la lettura.

Tema centrale del romanzo è il declino dei Buddenbrook, una famiglia di ricchi commercianti di Lubecca. I Buddenbrook devono la loro fortuna al nonno Johann, che fondò l'azienda che poi verrà tramandata di generazione in generazione. Grazie all'abilità negli affari di Johann, la famiglia acquista una buona posizione finanziaria ed un notevole prestigio non limitato solo agli affari, ma anche politico.
Il romanzo comincia nel momento migliore della famiglia e lentamente ne illustra il declino. Nonostante le fortune aziendali siano alterne, e non manchino le perdite, la rovina non ha ragioni economiche. Nonno Johann ha creato una fortuna ed ha tracciato il percorso che la famiglia deve seguire per mantenere la rispettabilità che serve per avere posti di primo piano in società. Si tratta di una famiglia borghese dalla mentalità molto chiusa, dove il primogenito di Johann, Gotthold, viene allontanato perché ha osato contrarre un matrimonio poco consono alla sua posizione. A continuare la tradizione creata da Johann ci pensa il figlio di secondo letto, Jean, che in pieno acquisisce la mentalità sociale e religiosa del padre e agisce al solo fine di continuare la tradizione fortunata da lui creata. L'attenzione data al lustro della famiglia è simboleggiata da una cartella che i vari capifamiglia si tramandano, in cui segnano tutti gli eventi rilevanti della storia familiare e in cui è tracciato l'albero genealogico. Nella loro intenzione è chiaro l'intento di lasciare un'impronta ben marcata nella storia. Se Gotthold è però stato solo "un incidente", i figli di Jean portano in sé i semi da cui germoglierà la rovina della famiglia. La rovina dei Buddenbrook è tutta dovuta a fattori psicologici, l'azienda di famiglia sarà infatti liquidata per volontà di Thomas, ma non rischierà mai la bancarotta. Leggendo le vicende dei figli di Jean, è come se fossero lentamente consumati dalle inquietudini che hanno dentro. Giungere a questa conclusione è possibile grazie alla grande cura con cui Mann tratteggia la psicologia dei suoi personaggi.

Come detto sopra, il capostipite della famiglia Buddenbrook crea la fortuna della famiglia e traccia la strada che i suoi eredi dovranno seguire per mantenerla. Proprio quella linea finisce per consumare lentamente gli eredi e causare la fine della famiglia. Intrappolato nella mentalità bigotta inculcatagli, ogni membro della famiglia Buddenbrook è capace di fare solo ciò che deve, non ciò che vuole o che può, vivendo con una costante pressione psicologica e finendone consumato, trovando prima la morte interiore e in un secondo momento quella esteriore. 
Per spiegare meglio questa riflessione, basterà spiegare un po' la psicologia dei personaggi principali del romanzo di cui, come già detto, Mann traccia il ritratto psicologico con grande maestria.
Thomas, il figlio primogenito di Jean, è chiamato a continuare la tradizione di famiglia. Egli è chiamato presto a prenderne in mano la reggenza, infatti il padre muore poco più che cinquantenne, e mostra subito di avere assorbito il suo spirito. Innamorato di una commessa in un negozio di fiori, egli rinuncia a sposarla senza nemmeno piangerci troppo su, semplicemente consapevole che sarebbe una relazione sconveniente. Nella gestione delle questioni familiari ha un cinismo che in alcuni casi, come nella gestione dell'eredità materna, rasenta la cattiveria. Sistema sempre le cose come si conviene, stando attento a non nuocere mai alle finanze ed al buon nome della famiglia; tiene rapporti molto freddi con il fratello Christian, colpevole di avere comportamenti sconvenienti; sprona la sorella Tony ad un matrimonio con un personaggio che non piace a nessuno, in fondo nemmeno a lei, semplicemente per liberarla dallo status di divorziata. Fa sempre quel che deve, ma lentamente in lui si spegne ogni entusiasmo e una pesante angoscia si impossessa del suo cuore. Comincia a cercare conforto nel suo erede, Hanno, ma di questo deve constatare la debolezza fisica e la scarsa propensione agli affari, così il suo malessere aumenta ancor di più. Cerca poi rifugio nella religione e nella filosofia, ma educato com'è alla vita pratica e priva di riflessioni profonde, decorata solo con una fede di facciata, gli è impossibile giungere a delle conclusioni che si rivelino salvifiche per lui. La sua morte è quindi prima morale, poi fisica. Le modalità del suo decesso sono simbolo della caduta della sua famiglia e di tutto ciò che lui è stato: muore per strada e con la faccia nel fango, e l'autore non manca di sottolineare come faccia specie che se ne vada così un uomo sempre attento e meticoloso alla sua toilette. 
Il figlio secondogenito di Jean, Christian, è l'esatto opposto di Thomas. Concentrato solo su sé stesso e non sulla famiglia, gli riesce impossibile correre lungo i binari tracciati dai suoi predecessori e questo lo porta ad essere disprezzato dal fratello maggiore. Vive fuori dalle convenzioni familiari, ma la sua educazione lo porta a non sapersi muovere al di fuori di esse, finisce quindi per rendersi ridicolo ed a contrarre un matrimonio "sconveniente" che sarà la sua rovina.
La sorella di Thomas, Antoine, è il personaggio più complesso e a tratti più affascinante del romanzo. In gioventù è quasi la ribelle di famiglia, non ama particolarmente le convenzioni che tanto piacciono al padre e manifesta spesso comportamenti più moderni e indipendenti. Ricevuta un'offerta di matrimonio da un uomo che non le piace, ma che il padre trova adatto, si ribella e viene mandata in vacanza al mare. Qui stringe amicizia col giovane Morten, uno studente universitario dalle idee politiche e sociali molto moderne e vicine al socialismo, rimane affascinata dai suoi discorsi e tra i due sembra nascere un amore. Di colpo però torna alla carica lo spasimante e, dopo una scenata, Tony si lascia convincere dal padre a contrarre quel matrimonio da lei osteggiato. In questo momento in lei avviene un cambiamento radicale, da indipendente diventa un soldato completamente votato alla causa familiare, attenta solo a compiacere il padre prima e Thomas poi. Il suo matrimonio finisce male, questo però non la spinge ad incolpare il padre, bensì le fa assumere un'aria da martire che non mancherà mai di ostentare. Contrae anche un secondo matrimonio con un altro uomo da lei poco gradito, stavolta però Thomas non dovrà costringerla, sarà lei per prima a decidere di sacrificarsi per liberare la famiglia dallo scandalo di una divorziata in casa. Anche il secondo matrimonio fallisce però miseramente e lei decide di dedicarsi solo alla cura della figlia Erika, non preoccupandosi però della sua felicità, bensì coltivando per lei la speranza di un matrimonio vantaggioso e fortunato. Dopo il primo matrimonio, e per tutto il resto della sua vita, i sentimenti di Tony smettono di essere originali e indipendenti, finendo solo per essere un prolungamento di quelli familiari. Diventa lei quella più attenta alla gloria della famiglia, aiutando il fratello a diventare senatore e tenendo cura con orgoglio delle carte familiari. Allo stesso modo è lei a soffrire più di tutti per la rovina della famiglia.
Hanno Buddenbrook, l'erede di Thomas, nasce per essere colui che continuerà la tradizione familiare, invece è colui che ne sancisce la fine. Di salute cagionevole e per niente interessato agli affari, sembra nascere già con tutte le angosce che il padre conosce in età avanzata, divorato da un'inquietudine che non lo abbandona mai. Muore giovane, sancendo così la fine al cognome dei Buddenbrook, come già aveva fatto presagire quando per gioco aveva tracciato due linee orizzontali sotto il proprio nome nell'albero genealogico tenuto nella cartella di famiglia.

Nella saga dei Buddenbrook, la storia ha un valore quasi marginale. La famiglia, seppur impegnata politicamente e in società, sembra vivere in una dimensione propria. Questo fa capire che la loro rovina sia dovuta principalmente a cause interiori, perché gli eventi esteriori (tra cui anche una guerra) sembrano quasi sfiorarli.
Nonostante il valore marginale della storia, nei Buddenbrook possiamo vedere con chiarezza l'ascesa di una nuova borghesia che ruba potere economico e politico a quella vecchia. Nel romanzo la nuova borghesia è rappresentata dagli Hangenstrom ed il simbolo di questo passaggio di consegne è l'acquisto della storica villa dei Buddenbrook, che soprattutto per Tony aveva sempre simboleggiato la loro grandezza, da parte di Hermann Hangenstrom per un prezzo neanche tanto vantaggioso. Tony, che come detto sopra soffre più di tutti per la rovina familiare, prima implora Thomas di non vendere, poi piange ogni volta che si trova a passare nei pressi.  

I Buddenbrook è una lettura molto piacevole e per niente impegnativa. Si tratta di una saga familiare che ci mostra come una persona possa consumarsi dentro e diventare morta pur vivendo ancora. Questo romanzo mi ha anche lasciato la convinzione che sia sempre sbagliato dedicare la propria vita alla gloria o alla ricchezza, non è un inno alla vita scellerata, ma credo che i Buddenbrook ci insegnino che vestendo l'anima con una camicia troppo stretta si finisce per soffocarla. Alla fine la famiglia Buddenbrook si estingue e nessuno di quelli che hanno vissuto si può dire siano stati felici.

Francesco Abate
  

2 commenti:

  1. Ottima critica che mette in luce e razionalizza la poesia del libro in cui si intuisce tutto vivendo in prima persona quasi parte della famiglia lo sgretolamento di ideali e certezze

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