sabato 11 novembre 2017

"NEDDA" DI GIOVANNI VERGA

Nedda è una novella di Giovanni Verga pubblicata il 15 giugno 1874 sulla << Rivista letteraria di scienze, lettere e arti >>. Siamo negli anni in cui lo scrittore cominciò ad avere successo, il suo pubblico era perlopiù composto da ricchi borghesi e le sue storie erano ancora ben lontane dal Verismo. Nonostante queste premesse, però, in Nedda troviamo diverse caratteristiche che ritroveremo nelle opere future dello scrittore, già in questa novella Verga imboccò la strada che lo avrebbe portato a Vita nei campi, Novelle rusticane ed al ciclo I vinti.

La novella narra di Nedda, una povera contadina stagionale addetta alla raccolta delle olive. Già all'inizio della vicenda la troviamo indebitata e con la madre malata da mantenere. L'anziana madre muore, lei sembra sprofondare definitivamente nelle tenebre dell'infelicità, finché non arriva l'amore di Janu a tirarla su. Nel momento in cui la vicenda sembra prendere una piega felice, Janu si ammala e in poco tempo muore. La novella si conclude con la morte anche della piccola figlia di Nedda, uccisa dalla fame e dagli stenti.
Come detto sopra, all'epoca della stesura di questa novella Verga era uno scrittore popolare tra la classe dei ricchi borghesi. La letteratura che si offriva a questo pubblico all'epoca era finalizzata a colpire, la povera Nedda nacque per commuovere il pubblico e per farlo partecipare alle sue disgrazie. Non c'è ancora l'impersonalità tipica del Verismo, ma nella novella troviamo già la descrizione della miseria e l'impossibilità di liberarsi di essa che sarà tipica di tutta la produzione successiva dell'autore.
La povera Nedda non riesce ad emergere in alcun modo dalla sua miseria. All'inizio della vicenda è disperata per le condizioni della madre, povera e indebitata; alla fine la troviamo disperata e povera. Nonostante in mezzo trovi l'amore, un nuovo lavoro e una figlia, la sua condizione economica e quella morale non progrediscono. Nemmeno fa in tempo a sfiorare la felicità, ad assaggiarla, che una disgrazia la ripiomba nella cupa disperazione da cui partiva. La sua vita è talmente misera e dolorosa che finisce per ringraziare la Madonna quando le muore la figlia: nella morte non vede la fine di un dono, bensì la liberazione da un supplizio. Proprio quest'ultimo tema, quello della morte come liberazione dalle sofferenze, si ritrova spesso nelle novelle incluse nella raccolta Vita nei campi.

Verga da molti è considerato deprimente, io invece ritengo la sua produzione fondamentale. Oggi lodiamo quegli autori che usano la loro arte per evidenziare le disgrazie di coloro che soffrono, cercando di alimentare un dibattito su quanto sia ingiusto che la vita per alcuni sia così misera. Oggi si fa per i migranti, per i tossicodipendenti e altre categorie definite "svantaggiate". Le categorie svantaggiate di una volta erano i contadini, i poveri, e nel Mezzogiorno le condizioni peggioravano ancor di più rispetto al nord Italia. Verga con le sue opere non voleva deprimere il lettore, voleva a mio parere metterlo davanti ad una realtà triste e dura che molti ignoravano. Tutti parliamo sempre di miseria, ma pochi la conoscono davvero, e all'epoca non credo che ci fosse molta differenza. A Verga credo vada riconosciuto il merito di aver voluto con i suoi scritti mettere davanti agli occhi di tutti delle condizioni di miseria che molti nemmeno immaginavano esistessero. "Miseria" per molti era solo una parola, lui volle far capire cosa essa significasse davvero. Già in Nedda vediamo questo, infatti la povera contadina patisce una serie di disgrazie che nella Sicilia dell'epoca erano piuttosto comuni, quindi la sua deprimente storia probabilmente sarà stata vissuta da tante persone. 

Francesco Abate

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